venerdì 8 aprile 2016

Catania: la nostalgia di tempi che non tornano e la gioia di sentirsi sempre a casa

Ho vissuto a Catania per cinque anni e, come per altre circostanze della mia vita, quello con la città non è stato un rapporto da subito facile. Stavo lì malvolentieri per frequentare le lezioni all'università, e tutte le domeniche era una sofferenza enorme soffocare la libertà che avevo in paese per andare a rinchiudermi dentro i confini di un posto letto, limitare le uscite serali a un orario in cui non fosse troppo "pericoloso" tornare a casa. Camminavo sempre con il timore di essere pedinata da qualche malfattore (una volta, purtroppo, è successo davvero!) e la mia prima volta in metro è stata un trauma - non sapevo che i treni andassero in direzioni opposte, così ne ho preso uno a caso e anziché a piazza Borgo sono finita al porto, dalla parte opposta di una città che mi sembrava gigantesca!

Ho impiegato due anni prima di cambiare opinione su Catania. Ho dovuto aspettare di diventare un po' più matura per decidere di tagliare il cordone ombelicale che in città mi teneva legata solo alla ristretta cerchia delle amicizie di paese e ho dovuto convincermi di non avere paura a cercare una nuova casa, con delle coinquiline sconosciute. Ho deciso di fidarmi di un istinto ancora acerbo per scegliere nuove compagne d'avventura e non ho sbagliato: i tre anni seguenti sono stati tra i più belli della mia vita. Grazie alle nuove amicizie ho imparato a vivere una città che non era solo il grigio cenere dei palazzi, ma tanti colori, tutti messi assieme.



I cornetti all'Etoile a notte fonda e gli amari prima di tornare a casa; le passeggiate in via Etnea e l'arancino alla catanese da Spinella, quello con i tocchetti di melanzane fritte, riccioli di ricotta salata e basilico, che tanto adoro; il gelato ricotta e cannella da St. Moritz e l'Etna da Scardaci; il seltz limone e sale del chiosco in piazza Umberto; le granite in piazza Europa e gli iris al cioccolato; i kebab alle quattro del mattino da Mille e una Notte dopo le lunghe serate in piazza Teatro; le cene in via Plebiscito e a Castello Ursino a base di cipollate, polpette di cavallo e fiumi di vino della casa - di quale casa non si sa - che spesso era aceto, ma che ne sapevo! L'aperitivo da Bonù e i cocktail al Carlito's; le feste a casa di mio fratello che finivano sempre troppo tardi...

Adesso, tutte le volte che torno a Catania, provo il desiderio forte di restarci perché sento che quella città mi appartiene e che io, un po', appartengo a lei. La rispetto profondamente e ho imparato ad amarla così com'è, senza volerla cambiare, senza lamentarmi per tutti i suoi difetti. Passeggiare a San Giovanni li Cuti, così come tra via Pacini e piazza Carlo Alberto, mi procura un senso inspiegabile di felicità. E alle mie espressioni di paura e di sdegno alle "vuciate" dei venditori in Piscarìa o a' Fera 'o Luni si sono sostituiti sorrisi pregni di nostalgia.



Se ne stanno sempre tutti lì i putiàri, un po' invecchiati, ma al loro posto con le solite bancarelle. C'è il tizio con gli occhiali "ca avi 'a frutta bbona" - quello che un paio di volte, anni fa, vedendomi inesperta mi ha tirato delle sole allucinanti; ci sono i gemelli con i "ciurietti" (i cavolfiori), dai quali mi fermavo un giorno sì e l'altro pure. Catania se ne sta lì, ai piedi del Gigante, lambita da acque cobalto, con i palazzi barocchi, le finestre rococò e un profumo forte e pungente che per le strade di altre città non si trova. Vive allegra sotto un sole bellissimo e sa aspettare a braccia aperte chi torna, sempre pronta ad accogliere chiunque, come una mamma bella da morire ma un po' disgraziata, che dà quello che può e riceve in cambio poco.

Nessun commento:

Posta un commento