lunedì 2 maggio 2016

A Londra. Alla bellezza e alla bontà condivisa. A mio fratello.

Sono una nostalgica, un'inguaribile romantica, e pure un po' bugiarda. Dico sempre di non far caso ad anniversari e ricorrenze e invece ci sono alcune date o periodi della mia vita scolpiti così tanto nella memoria che è impossibile per me non pensarci, impossibile non provare il desiderio di ricamarci su qualcosa.

La prima settimana di maggio del 2015 sono stata a Londra per la terza volta, un viaggio che ricordo con gioia e una punta di amarezza perché ha segnato la fine di un capitolo (un master lungo e impegnativo) e ne ha inaugurato un altro (quello sulla mia bellissima esperienza nella redazione del Gambero Rosso). Un viaggio che io e mio fratello - compagno di avventure e di merende - abbiamo desiderato tanto e che abbiamo cercato di organizzare in modo che fosse il più possibile enogastronomicamente didattico e divertente.

Amo Londra, dalla prima volta che l'ho visitata nell'ottobre del 2008. L'ho ritrovata bellissima in primavera, nel 2011, quando ci sono tornata per il secondo round, e ho capito che tra me e quella città c'è feeling quando ho sentito un grande senso di felicità passeggiando svogliata per Queensway con mezzo litro di cappuccino bollente (with cream on the top!) tra le mani, esattamente un anno fa.

Una metropoli meravigliosa che è un giacimento di storia, arte e cultura perché oltre alla miscellanea di strutture architettoniche (dall'imponente abbazia di Westminster in stile romanico al Tower Bridge di fine Ottocento, dalla barocca Cattedrale di San Paolo al futuristico "The Gherkin" che dall'alto dei suoi 180 metri di vetro e acciaio domina la City) è sede di alcuni dei più importanti musei del mondo: il British Musem, che tra le meraviglie archeologiche custodisce la Stele di Rosetta; la National Gallery, nelle cui sale ci si perde tra i dipinti di van Gogh, Van Eyck, Manet, Cézanne, Botticelli, Tiziano e Caravaggio; il Tate Modern, dove è custodito un calco in bronzo di Forme uniche della continuità nello spazio, la scultura del futurista Umberto Boccioni; il Museo di Storia Naturale, in cui è possibile ammirare scheletri di dinosauri e specie botaniche rare o estinte.

Londra è molto di più delle visite ai musei e delle passeggiate per le vie più battute del centro, non è solo Piccadilly Circus e Trafalgar Square. C'è Soho da esplorare la notte, l'atmosfera underground di Brick Lane, l'eleganza degli edifici in stile vittoriano di Notting Hill. Ci sono i mercati, quelli di Portobello Road e di Camden Town in cui ci si perde tra le bancarelle di antiquariato, abbigliamento vintage e vinili da collezione, e quello tutto dedicato alle delizie dello street food di Borough Market, in cui ho trovato forse le migliori scallops - le capesante - assaggiate finora (arrostite su piastre roventi e condite con wild garlic, ginger, bacon croccante e succo di lime), una paella da leccarsi i baffi, fudge in tutti i gusti e dei doughnuts al crème caramel e briciole di honeycomb salato buoni da perdere la testa. C'è davvero di tutto lì, dalle scotch egg ai centrifugati di frutta tropicale, dalle beef e pork pie (pasticci di carne di manzo o maiale) al pane sciocco da accompagnare con crudo di Parma o pepato fresco siciliano.


Per festeggiare non so bene cosa (da qualche tempo a questa parte ho iniziato a credere che nella vita ci sia sempre qualcosa per cui festeggiare), il passo successivo all'acquisto del biglietto low cost con partenza da Ciampino alle 6:30 del mattino, è stato fiondarmi sul sito di un ristorante in cui sognavo di andare da mesi e svelare a OpenTable il CVV della mia carta per bloccare, con gli ultimi soldi rimasti sul conto, gli unici due posti disponibili dalla data del mio arrivo a Londra fino alle otto settimane successive. Era il 2 maggio e io stavo per fare un'esperienza meravigliosa al The Ledbury, il locale più esclusivo di Notting Hill e uno dei più rinomati di tutta la città.

Rassicurante leggere sul sito "non è richiesto nessun dresscode" (anche se non sufficiente a evitare la lite con l'accompagnatore - mio fratello - che se non glielo avessi impedito si sarebbe presentato lì in polo), incantevole l'atmosfera del locale, e un menu compatto e seducente del quale avrei ordinato tutte le portate (peccato che i soldi erano contati!). Ce li ricordiamo ancora gli amuse-bouche (in assoluto le due consistenze di foie gras) portati a tavola su pietre, cortecce e aghi di pino; la crosta fantastica del pane, servito caldo, su cui spalmare un burro di capra da affioramento del cui sapore ancora sento l'eco; il ceviche di ostriche con wasabi, il prosciutto d'oca con carciofi, la spalla di coniglio, il piccione, la olive oil tart, dessert fantastico.


Siamo usciti dal 127 di Ledbury Road alticci e felici; a mezzanotte e venti in punto abbiamo gioito per non aver perso l'ultima corsa della metro, ma il sogno è svanito quando a Tottenham Court Road, scesi dalla Central Line per salire sulla Northern, hanno chiuso la stazione. Così ci siamo trovati a girovagare al freddo, in piena notte, tra Covent Garden e Leicester Square, nel tentativo disperato di trovare un notturno che ci portasse nelle vicinanze di casa. Siamo andati a letto alle 4:00...

Il giorno dopo è stata la volta di una scoperta fantastica, quella dell'afternoon tea. Non che ignorassi del tutto l'abitudine pomeridiana degli inglesi di dedicarsi alla conversazione e al relax in salotto sorseggiando infusi, ma non immaginavo che a Londra ci fossero dei veri e propri luoghi dedicati a questo rito, celebrato con prelibatezze di rara bontà. Grazie a due amici fantastici, il giorno prima di partire ho trascorso un pomeriggio memorabile nella sontuosa sala del Palm Court, la tea lounge del The Langham, uno degli alberghi di lusso di Regent Street. Pare che più di 150 anni fa la tradizione inglese di bere il tè sia nata proprio qui, dove si respira ancora un'atmosfera regale e si vive qualche ora da sogno, come avvolti nell'incantesimo della luce di cristallo che illumina le sale impeccabili, e delle note di un pianoforte a coda che fanno da sottofondo a un'atmosfera unica.


Una sommelier del tè ci ha portato la carta con una proposta di trenta blend, e dopo le ordinazioni è iniziata la sfilata di "finger-meraviglie": dal lemon posset, alla sfilza di sandwich variamente farciti; dai profumatissimi scones caldi su cui spalmare burro da affioramento del Devonshire e confettura di fragole, alla meravigliosa selezione di pasticcini e tortine servite per ciascun commensale su alzatine personalizzate. Il lusso di prendere il tè dai raffinati servizi Wedgwood ha il prezzo base di 49 pound a persona, ma ne vale la pena.


Se avessi avuto tempo (e soldi, fattore cruciale) avrei progettato altre esperienze gastronomiche, tipo provare il Set Lunch Menu del Dinner by Heston Blumenthal e andare a cena al Nopi, il ristorante di Yotam Ottolenghi, lo chef israeliano che insieme al collega e amico palestinese Sami Tamimi ha scritto un bellissimo libro di cucina per la pace, Jerusalem, tra le cui pagine si incontrano due culture apparentemente distanti e troppo in conflitto. Avrei anche provato la cucina di Gennaro Contaldo - star della tv di origini italiane divenuto famoso nel Regno Unito e in Australia grazie al simpatico programma della BBC "Two Greedy Italians", che mi faceva tanto sorridere quando a Melbourne trascorrevo qualche minuto davanti alla tv - oggi impegnato in una delle insegne londinesi firmate Jamie Oliver. Sarei andata alla ricerca della migliore english breakfast e del miglior fish&chips della città, alla scoperta di pub e sushi bar, e avrei provato quante più cucine etniche possibile, ma sarà per il quarto round, molto presto... (meglio avvisarti in anticipo sulle mie prossime mosse, Snipsy!)